venerdì, giugno 08, 2007

Il giovane Holden


Ho finito di leggere (il 3/6/2007, n.d.a.) “Il giovane Holden” ma non sono certo di cosa vorrei dire in proposito; non saprei dire se mi è piaciuto oppure no: sono un po’ confuso da questo romanzo.
Questo libro parla di una persona, di un ragazzo che, cacciato dall’ennesima scuola, descrive le proprie vicissitudini di un week-end, parla di se stesso e della propria vita: diciamo che, forse, il grado di apprezzamento del libro corrisponde a quello che si prova verso il protagonista del racconto. Io però non riesco a capire neanche se mi piace questo Holden Caulfield, o se trovo qualcosa di interessante in lui.
Lo stile della scrittura non ha nulla di particolarmente coinvolgente ma non risulta pesante; l’autore cerca di trasferire su carta la parlata e gli atteggiamenti di un adolescente non troppo attento ai formalismi e alla lingua, creando quello che potrebbe essere considerato, da un lato, un terribile scempio letterario e, dall’altro, un’innovativa forma di genialità (per il 1951, anno di pubblicazione del libro in questione).
Anche tra i commenti che ho potuto trovare in rete, a parte quelli banali e idioti del tipo “questo libro fa schifo” o “è un libro stupendo”, si trovano opinioni discordanti che vanno dal capolavoro al pessimo libro, ma in quasi tutte il giudizio sul libro sembra imprescindibilmente legato a quello sul protagonista. In particolare si possono riscontrare due punti di vista molto diffusi:
1) un libro straordinario per linguaggio e stile (parolacce, sgrammaticature tipiche degli adolescenti condite da un intercalare particolarmente fastidioso, inoltre si parla di sesso e, vagamente, di pederastia) considerando che è stato scritto negli anni Cinquanta; un libro ancora attuale in cui colpisce l’anticonformismo e la grande intelligenza del protagonista che, a differenza delle persone comuni, non resta invischiato nell’ipocrisia, nella falsità, nel perbenismo di una società malata ed anche sostanzialmente inutile, cosa ti serve di più quando puoi prendere il tuo cappello rosso da caccia al cervo e trovare un lavoro in un ranch all’ovest? A cosa ti servono tutte queste convenzioni e queste falsità?
2) Holden è un giovane disadattato e confuso, soprattutto immaturo, che critica continuamente gli altri per la loro ipocrisia e la loro falsità, mentre il suo passatempo principale è raccontare balle; non tanto un idiota, più che altro un ragazzo che ha molta paura del mondo ma non vuole ammetterlo, ritiene di essere l’unico a capirlo in realtà e critica quindi il resto della società per la costante falsità ed ignoranza in cui vive, quella società di cui lui praticamente non fa parte, rimanendone sempre ai limiti, senza quindi poterla conoscere veramente. Holden parla della vita senza averla mai vissuta, quindi tutto quello che dice non ha alcun valore.
La mia impressione è che l’intenzione dell’autore fosse quella di descrivere un personaggio come presentato nel punto 1) ma, per incapacità o scarsa esperienza (“Il giovane Holden” è un romanzo di formazione) abbia finito per raccontare un ragazzo come quello del punto 2).
Holden non risulta essere sufficientemente descritto e definito, nonostante sia il protagonista assoluto, rimane un personaggio vago, in conseguenza di ciò chi legge riempie, anche inconsapevolmente, le lacune lasciate dall’autore con la propria impressione, con le proprie esperienze, con la propria idea di società e di disadattato. Infatti, in entrambe le visioni, è fondamentalmente questo l’unico punto in comune: il riconoscimento, nel giovane Holden Caulfield, di un ragazzo disadattato e forse l’opinione di chi legge è fortemente influenzata dall’idea che ha del “disadattamento”, perché l’autore non ci descrive compiutamente, nello sviluppo dello scarno racconto, il messaggio che voleva veicolare mediante il proprio personaggio… sempre che ce ne fosse uno.
In conclusione non so ancora se ho letto un bel libro oppure no, ma sono comunque contento di averlo fatto perchè mi ha dato la possibilità di scrivere questa pseudo-recensione che non mi dispiace affato.

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