lunedì, settembre 27, 2010

L'uomo dai denti tutti uguali


L'uomo dai denti tutti è uguali non è il solito libro di Philip K. Dick. Ho imparato ad amare Dick come autore di fantascienza e di ucronia (storia alternativa), ma questo libro non appartiene a nessuna di queste due categorie e, sinceramente, non riesco ad inquadrarlo pienamente in un genere. Non assomiglia a nulla che io abbia letto prima e non racconta nulla di particolarmente interessante ma, nonostante questo, non sono riuscito a staccarmene finché non l'ho finito. Non so se fosse la speranza che il fantascientifico o il metafisico Dick spuntasse all'improvviso fuori, ma sono andato avanti imperterrito nonostante la storia non fosse affatto avvincente. La lettura però scorreva del tutto liscia, senza intoppi, senza rallentamenti dovuti alla stanchezza o alla noia. Come è possibile che un libro di 324 pagine che non ti piace non ti annoi? Evidente lo stile dello scrittore ha un grande merito in questo: se qualcuno riescie a tenerti attaccato ad una storia normale, deve essere veramente bravo a scrivere.
Si tratta di una storia di vicinato e famiglia in un piccolo ed isolato centro abitato della California del sud. Mogli, mariti, rapporti di vicinato difficili, lavoro, sceriffi e veterinari di campagna annoiati... e storie quotidiane di un passato non troppo lontano.

Mentre scrivo mi viene un'idea molto suggestiva, questo libro dalla trama semplice, nella sua semplicità, riesce in una specie di magia: il fantastico, che normalmente si trova nei libri di Dick, qui si manifesta nell'atto stesso del leggere. L'inconsueto, tipico dei racconti dickiani, non è più solo scritto e di conseguenza immaginato dal lettore, bensì diventa realtà: lo straordinario che scaturisce dall'ordinario, il lettore avvinto e per nulla annoiato da una storia quasi del tutto normale.

Consigliato solo ai grandi amanti di Dick, "per vedere l'effetto che fa".
Per tutti gli altri, fortemente sconsigliato.

NOW ON AIR: "Blue monday" New Order

martedì, settembre 21, 2010

Caratteri più grandi

Ho aumentato la dimensione dei caratteri con cui questo blog viene visualizzato.

Mi avevano detto che il blog aveva bisogno di "più carattere"... ma forse non era questo che intendevano.

Comunque non è mia intenzione (sarebbe comunque un'intenzione idiota) far risaltare le mie parole per dare loro maggiore forza, almeno nella forma. Non penso che ce ne sia bisogno, ma solo perché non è mia intenzione convincere nessuno.


Sto cercando semplicemente di ritardare il più possibile il giorno in cui avrò bisogno degli occhiali per leggere sullo schermo. Ho pensato fosse un bel gesto avere la stessa cura dei miei (pochi ma sicuramente ottimi, anche se solo di passaggio) lettori.

NOW ON AIR: "Citizen-Soldier" 3 Doors Down

domenica, settembre 12, 2010

Perché?

Nono sono sicuro di essere ancora "l'uomo del futuro" del titolo. Questo "ancora" può essere interpretato sia nel senso passato che in quello futuro: non so se lo sono stato ed ora non lo sono più; sicuramente attualmente non sono come "l'uomo del futuro" che ho descritto e chissà se lo sarò mai. Per questo mi riferirò a me stesso come a MaxParsifal. Naturalmente in terza persona, da perfetto psicopatico.

MaxParsifal non vuole crescere perché è già cresciuto abbastanza e non gliene è venuto nulla di buono, solo maggiore stress e maggiore infelicità.
Maxparsifal non vuole essere un eterno adolescente, bensì un eterno bambino. Non un bambino qualsiasi, il bambino che è stato lui prima di rompersi. Prima che qualcosa gli portasse via, troppo presto, il suo essere bambino. Il bambino che è stato lui: meno felice e sereno degli altri ma più consapevole, comunque più felice e sereno di quanto potrà mai essere da adulto.

MaxParsifal vuole essere il bambino che chiede sempre "come" e, soprattutto, "perché" e che non si annoia a sentire ogni risposta, perché in ogni risposta c'è qualcosa di interessante. Come fanno le persone a vivere come se non ci fossero domande, come se tutto fosse completamente chiaro? Soltanto io vedo "perché" in ogni singolo aspetto dell'esistenza? Il fatto che trovare risposte sia difficile dovrebbe essere un buon motivo per non farsi le domande?
Le risposte non contano, o almeno non contano tanto quanto le domande: quando smettiamo di fare domande, il nostro cervello smette di vivere e quindi noi smettiamo di vivere. Si, certo, respiriamo, mangiamo, defechiamo, lavoriamo, ci picchiamo per un parcheggio, ma questo non significa vivere. Significa essere vivi, certo, per definizione medica, ma non significa che siamo individui che vivono perché, quando non ci facciamo più domande, non siamo più individui. Diventiamo dei gusci vuoti, corpi umani che si muovono e agiscono tutti alla stessa maniera, tutti uguali.
Io (cioé MaxParsifal) non ho paura di morire fisicamente, ma finché sono vivo fisicamente, morire mentalmente mi fa schifo ed orrore. Non voglio, tanto varrebbe morire del tutto. Per rimanere vivo nel cervello non conosco altro metodo che rimanere bambino, cercare (quando riesco) di guardare le cose come fosse la prima volta che le vedo e chiedermi "perché" ogni volta che posso (le occasioni non mancano di certo).
Intanto, perché ho scritto tutto ciò... al momento non lo so, se lo scoprirò e lo riterrò interessante potrei anche condividerlo qui, nel frattempo... perché?

NOW ON AIR: "Alive" Pearl Jam

sabato, settembre 11, 2010

Grave BUG per l'iPad

Grave bug dell'iPad che gli impedirà di soppiantare completamente il giornale cartaceo.



Prevedibile, ma comunque divertente.

NOW ON AIR: "Shorty" The Wannadies

La Bibbia

Questa non è mia, non sono così brillante e un po' mi dispiace. Ma la frase che propongo è troppo bella per non citarla, forse non è alla portata di tutti, spero lo sia per molti.

Nella Bibbia ci sono solo proposizioni vere e se ogni tanto è un po' incoerente è solo colpa di Gödel.

Fonte: In coma è meglio, blog di Astutillo Smeriglia.

NOW ON AIR: "Thoughts of a dying atheist" Muse

mercoledì, settembre 08, 2010

Indesiderati

In molti film e in qualche libro mi è capitato di vedere e leggere di figli che scoprono di essere stati indesiderati, essere nati come frutto di un errore.
Tali scene (cinematografiche o letterarie) sono solitamente cariche di pathos, portano alla commozione: una rivelazione del genere da parte di un genitore nei confronti di un figlio provoca spesso una risposta violenta, carica di risentimento, sicuramente una risposta che esprime malessere e dolore interiore.

Se capitasse a me... ne sarei sollevato. Saprei che il dolore che mi è stato inflitto da quando sono nato non è frutto di una scelta consapevole o inconsapevole ma comunque volontaria. La mia nascita, e tutto ciò che ne è conseguito, sarebbero soltanto frutto di un errore, di un incidente e si sa "gli incidenti capitano".
Purtroppo non avrò mai questo "piacere": mi è stato già detto che la mia nascita è stata fortemente voluta, al riguardo ci sono anche prove oggettive che non possono essere smentite o manipolate. Mi dispiace sapere che una persona possa decidere volontariamente, consapevolmente e razionalmente di generare un figlio, senza pensare a tutto ciò che di brutto o spiacevole potrebbe riservargli la vita. La vita non è bella nè brutta, la vita è una serie estremamente complessa di continui incidenti che sta poi a noi interpretare come vogliamo perché, di per sé, senso non ne hanno. Da parte mia, il più piccolo incidente negativo, o anche solo potenzialmente negativo, che potrebbe occorrere ad un essere umano generato con il mio contributo mi porta a rifiutare categoricamente ogni possibilità di farlo.
Le cose belle che ci succedono non possono nè annullare nè compensare quelle brutte che ci accadono: quando mi accade qualcosa di bello, quelle brutte stanno sempre lì senza attenuare nè esaltare quelle belle, e viceversa.
Fare un figlio per me sarebbe sicuramente bellissimo, ma cosa sarebbe per lui? Per lui sarebbe soltanto una vita ed una nuova sequenza di incidenti. E se non fosse così? E se mio figlio potesse vivere la vita più bella che sia mai stata immaginata? Sarebbe giusto negargli questa possibilità?
Si sarebbe giusto, perché non sto impedendo a nessuno di vivere tale vita immaginaria, visto che finché uno non viene al mondo non esiste. Finché non viene al mondo nessuno può fargli del male, neanche io, direttamente o indirettamente. Una volta venuto al mondo non c'è più via d'uscita e quello che gli spetta è soltanto quello che spetta a tutti quanti: una lunga sequenza di incidenti che si concluderà solo con la sua morte.

NOW ON AIR: "From yesterday" 30 Seconds To Mars

Bestemmiare

Ogni volta che qualcuno maledice dio, in realtà sta maledicendo il suo creatore, ammesso che creda a questa sciocchezza della creazione divina.
Bestemmiare il "nome del signore" significa quindi maledire il responsabile delle nostre difficoltà e delle nostre sofferenze: se non avesse creato il mondo e gli esseri umani noi non avremmo sofferto o inciampato o arrancato o qualsiasi altra cosa.
Come detto, la creazione divina è una sciocchezza, quindi, se non fossimo annebbiati da millenni di religione, quello che vorremmo veramente fare è maledire il nostro creatore. I nostri creatori sono i nostri genitori, tutti i meriti e tutte le colpe di ciò che ci accade di bello e di brutto ricadono completamente ed esclusivamente su di loro, almeno in quest'ottica.
Quando abbiamo bisogno di sfogarci e maledire qualcuno per ciò che ci succede in vita sarebbe più corretto, o almeno più sensato, maledire i nostri genitori... o almeno uno dei due, sta ad ognuno scegliere quale.

NOW ON AIR: "The story" 30 Seconds To Mars