sabato, maggio 07, 2011

Un oscuro scrutare


Un oscuro scrutare (A scanner darkly) è molto diverso dagli altri libri di Philip K. Dick che ho letto; leggendolo ho avuto l'impressione che dentro ci fosse molto più che letteratura: in questo libro credo di aver trovato più autore che romanzo. Un oscuro scrutare decisamente non è un romanzo di fantascienza, perché oltre a qualche artefatto futuristico che ancora non appartiene alle nostre vite (tuta disindividuante, cafaloscopio, ecc.) l'ambientazione è attuale e realistica. Si tratta di una sorta di thriller poliziesco nella forma, ma nella sostanza sembra voler essere una qualche forma di denuncia sociale, denuncia che a mio parere resta alquanto incompiuta.
Una nuova droga è disponibile sul mercato, la Sostanza M, la "lenta morte"; composizione ed origine della nuova droga sono ignote alla polizia che decide di infiltrare degli agenti tra i tossici per risalire dai consumatori ai produttori tramite spacciatori e distributori. Bob Arctor è il nostro protagonista, agente infiltrato della narcotici che vive una vita di copertura da tossico nella sua casa di periferia in cui ospita una piccola comunità di disadattati. Bob rimarrà invischiato nella sua copertura più di quanto avrebbe immaginato prima di cominciare questa avventura, diventerà senza accorgersene "uno di loro". Nell'evolversi finale delle vicende potremmo gustarci due interessanti colpi di scena che rendono parzialmente credibile il romanzo come "giallo" e anche come dickiano.
Particolarmente interessante, e in un certo senso molto dickiano, ho trovato il rovesciamento della tradizionale copertura dell'infiltrato: normalmente l'agente della narcotici ha una vita di copertura verso il mondo in cui deve infiltrarsi, gli viene assegnata un'identità fittizia dietro la quale celarsi agli occhi dei malviventi che deve controllare, spacciatori e tossici. Nel libro di Dick, invece, Bob Arctor è Bob Arctor, certo non dice ai suoi amici-tossici di essere un infiltrato della narcotici ma tutto il resto è vero, la sua casa, la sua macchina, la sua personalità; al contrario è verso le autorità che la sua identità viene celata, tramite l'artificio della tuta disindividuante: tutti alla stazione di polizia, sezione narcotici, indossano la tuta disindividuante per non riconoscersi l'un l'altro. Così nessuno può associare, o almeno dovrebbe poter associare, Bob Arctor all'agente che ogni settimana fa rapporto al suo responsabile alla centrale. Proprio l'uso della tuta disindividuante condurrà ad una sorprendente rivelazione nell'evolversi delle vicende.
Rispetto agli altri romanzi di Dick che ho letto questo mi è sembrato più emotivo e meno immaginifico, dedicato dall'autore a persone che hanno fatto parte del suo passato, che lui ha amato e con le quali ha condiviso un periodo importante della sua vita, gli anni '60: un periodo che lui stesso definisce "ricco di errori", errori che però spesso sono stati puniti troppo duramente. L'edizione Fanucci di questo romanzo è corredata da una nota dell'autore che risulta più toccante e profonda del romanzo e che, in poche parole, dice molto su quello che in realtà c'è dietro alla storia di fantasia.


Un oscuro scrutare è anche un film. Un film particolare nella forma, perché realizzato interamente con la tecnica del rotoscopio combinato con l'uso degli acquarelli. Tale tecnica è particolarmente efficace nel rappresentare scene distorte e surreali, scene che sarebbe stato molto più complesso realizzare tramite altre tecniche: ritengo che l'immagine prodotta dia effettivamente l'idea della percezione alterata che può derivare dall'uso di sostanze stupefacenti. Risulta poi particolarmente efficace nella rappresentazione della tuta disindividuante, la cui realizzazione tramite altre tecniche avrebbe potuto essere fin troppo complessa, ma anche condurre a risultati poco credibili, se non addirittura ridicoli.
Nel contenuto, invece, il film risulta molto aderente al romanzo originale e credo che sia un lato positivo. L'unico piccolo difetto che ho trovato in questo film è che i protagonisti non sembrano mai veramente "fatti", anche quando dalla storia si capisce che qualcuno dovrebbe "essere fuori", nella maggior parte dei casi, non lo è mai veramente: nei protagonisti c'è troppa lucidità e padronanza di sè, nei gesti più che nelle parole, per risultare veramente credibili come tossicodipendenti. QUesto difetto vale un po' per tutti i protagonisti, tranne che per Charles Freck, il primo che incontriamo e decisamente fuso dall'inizio alla fine.
In conclusione direi che è un buon film, consigliato soprattutto a quelli che amano Dick senza se e senza ma.

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