domenica, ottobre 10, 2010

Noi marziani


Sono passati alcuni anni da quando la colonizzazione di Marte ha avuto inizio, ma il proggetto non ha avuto il successo sperato. Solo pochi esseri umani hanno deciso di trasferirsi e non c'è molto da stupirsi, viste le difficili condizioni in cui vivono: isolamento, difficoltà negli spostamenti via terra, razionamento dell'acqua.
Gli attori principali delle vicende marziane sono i coloni, esseri umani terrestri che hanno abbandonato il pianeta di origine per diverse ragioni e che cercano di costruirsi una vita perlomeno decente sul pianeta rosso, con tutte le difficoltà dovute all'ambiente ostile.
Personaggi secondari, ma comunque importanti, risultano essere gli indigeni, esseri umanoidi, ma molto diversi dagli esseri umani sotto diversi aspetti, originari di Marte. Esseri poco civilizzati con una cultura simile a quella di alcune popolazioni terrestri che vivono ancora a stretto contatto con la natura, totalmente prive di tecnologia e organizzazioni sociali complesse. La maggior parte di questi preferiscono mantenere al minimo i contatti con gli esseri umani, aiutati in questo da un generale disinteresse dei colonizzatori nei confronti di un popolo alquanto primitivo, altri, invece, hanno scelto di vivere a stretto contatto con i coloni lavorando in qualità di servitù presso i più agiati di loro.
Il pianeta non offre grandi ricchezze, quindi chi si arricchisce lo fa principalmente tramite il contrabbando di prodotti importati illegalmente dalla Terra.
A metà strada tra i due punti di vista, quello umano e quello marziano, troviamo quello di un ragazzino autistico: emarginato dai terrestri in quanto inutile alla comunità, rinchiuso in una struttura psichiatrica insieme a diversi altri bambini "speciali", l'incontro con i marziani porterà ad inaspettati sviluppi.
Il suo punto di vista sul mondo è completamente diverso da quello dei "normali", Dick ce lo descrive molto accuratamente: l'apparenza è quella di una visione estremamente distorta della realtà e, sotto certi punti di vista, malata. Su ogni scena si torna più volte, in capitoli differenti, vista dalla prospettiva tradizionale, da quella "speciale" del bambino, e, più avanti, anche da quella intermedia dello schizofrenico tecnico riparatore che si è avvicinato al bambino per cercare di farlo comunicare con l'esterno. Certe scene mettono quasi paura per la cupezza e la "decadenza" che le contraddistingue, ma più si va avanti e più cresce la convinzione che la visione che si era definita distorta non lo sia poi così tanto come si pensava.
Mentre si cercherà di capire se la sua condizione gli permetta effettivamente di prevedere il futuro, questo ragazzino si troverà al centro delle vicende che coinvolgono diversi personaggi apparentemente senza connessioni, ma che alla fine si riveleranno tutte collegate, direttamente o indirettamente.

Non uno dei migliori libri di Dick che io abbia letto ma offre diversi spunti di riflessione e questo è ciò che secondo me fa di questo libro un buon libro.

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