sabato, luglio 02, 2011

Areopagitica (John Milton)


Nonostante l'ultima non esaltante esperienza con John Milton ho voluto continuare con questo autore, approfittando così per proporre la mia prima recensione su uno de "I classici del pensiero libero".
Nella Grecia antica l'Areopago era il cosiglio degli anziani che aveva il compito di vigilare sulle leggi. l'origine del titolo, Areopagitica, non trova accordo tra i commentatori: secondo alcuni farebbe riferimento a quello di un testo del retore ateniese Isocrate, nella quale egli finge di parlare al popolo radunato usando, appunto , lo stile dell'orazione pubblica; secondo altri farebbe invece riferimento al discorso areopagitico di San Paolo presente negli Atti degli Apostoli. Io non mi permetto di valutare quale delle due teorie sia più probabile, è uno di quei casi in cui l'unica soluzione al problema sarebbe chiedere direttamente all'autore ma ovviamente non è possibile; a me piace più la prima ipotesi, certo è che, visto quanto Milton fu fastidiosamente religioso in vita, anche la seconda ipotesi non è da escludere.
Il titolo completo dell'opera è Areopagitica, discorso per la libertà di stampa.
Il libro inizia con una introduzione terribile, scritta in modo eccessivamente barocco e ridondante, in cui si fatica a procedere a causa della pesantissima formalità della presentazione ai Pari e ai Deputati d'Inghilterra. Per fortuna, terminata l'introduzione, si ha poi per tutto il libro uno stile quantomeno sopportabile, in cui l'eventuale pesantezza della lettura deriva più dal contenuto che dalla forma. Come in ogni libro, però, possiamo trovare spunti molto interessanti.

Intorno all'anno 240 Dionisio Alessandrino, una persona di grande fama nell'ambito della Chiesa per devozione e dottrina, era solito giovarsi molto contro gli eretici della buona conoscenza dei loro libri, finché un certo sacerdote pose con scrupolo alla sua coscienza il problema di come osasse avventurarsi fra quei volumi corruttori. Il degno uomo, timoroso di peccare, cadde di nuovo in un intimo dibattito su ciò che si dovesse pensare quando d'improvviso una visione mandata da Dio - è la sua stessa Epistola che così afferma - lo rassicurò con queste parole: Leggi tutti i libri che mai ti vengano tra le mani perché tu sei in grado sia di giudicare correttamente che si esaminare ogni argomento.
[...] la conoscenza non può corrompere, né di conseguenza i libri, se la volontà e la coscienza non siano corrotte. I libri infatti sono come i cibi e le bevande, alcuni di buona qualità, altri cattivi [...] Per uno stomaco guasto i cibi sani poco o nulla differiscono dai cattivi, e a una mente malsana i libri migliori possono essere occaasione di male. [...] libri cattivi [...] ad un lettore prudente e giudizioso essi servono in vari modi a scoprire, confutare, prevenire e spiegare.
Mi permetto di riassumere questo discorso con questa semplice frase, molto semplice ma altrettanto chiara: non esistono cattivi libri, esistono solo cattivi lettori. Con questo concetto non posso non essere d'accordo.
Purtroppo, scritte queste belle parole, Milton abbassa il livello della propria opera nel proseguire con gli altri paragrafi, egli infatti sembra sentirsi in obbligo di mettere la religione dovunque gli capiti: sostanzialmente l'autore rifiuta la censura (oltre per i motivi sopra citati) perché, a suo dire, non c'è vera virtù nell'evitare il peccato che non si conosce; soltanto conoscendo tutte le vie e tra queste scegliendo la più retta, astenendosi dalle altre, ci si può dire veramente retti.
Il libro prosegue con altri paragrafi che mostrano come la censura sia sconsigliabile sotto molti punti di vista e per diverse ragioni che non anticipo in favore di chi volesse leggere il libro.
Da parte mia vorrei aggiungere che la censura ha un altro enorme difetto: essa ci solleva dall'incarico di giudicare il valore di ciò che leggiamo, vediamo, sentiamo. Se c'è chi ha giudicato le opere da pubblicare è normale per la maggior parte degli uomini pensare, anche in modo inconsapevole, che tutto quello che viene pubblicato è "buono". In questo modo lo stampato (per rimanere alla libertà di stampa, ma il discorso si potrebbe allargare a tutte le altre forme di diffusione delle idee) non è più l'oggetto del Giudizio bensì ne diviene il soggetto come estensione dell'organo di censura.
Davvero preferiamo sapere a priori dove trovare il bene, o almeno quello che qualcun'altro ha deciso essere bene per noi, anziché cercare noi stessi il buono tra quello che viene detto e scritto e fatto? E' più facile? Sicuramente, ma se preferiamo sempre e comunque la via più facile... ci meritiamo qualsiasi disgrazia che ci sta capitando e tutte quelle che ci capiteranno.

Mentre scrivo mi rendo conto che questo post può essere più attuale di quanto credessi. Ovviamente per riuscire ad essere attuale sul mio blog devo farlo "per caso" altrimenti non ci riesco.
E' di questi giorni la protesta contro AGCOM (Autorità per la Garanzia delle Comunicazioni) che vuole imporre nuove regole per la pubblicazione di contenuti sul web che a parere di molti potrebbero limitare la libertà di espressione di quanti usano il web per diffondere idee e cintenuti. VI lascio un po' di link per farvi un'idea, purtroppo non ho trovato nessun riferimento a favore della delibera AGCOM.
Se l'agcom censura il web
Agcom e il copyright: rischio censura
Censura d'autore
10 domande per l'Agcom

PS: vista la mia brevissima citazione presente in alto, questo post sarà a rischio cancellazione? Staremo a vedere.

NOW ON AIR: -silenzio-

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